UPIM 59 «Nel 1954 il famoso fotografo e cineasta
americano Paul Strand venne a Roma da lontano e disse: facciamo un libro
insieme? Lo abbracciai, lo portai a Luzzara, ve lo lasciai a lungo con
i suoi occhi giusti e una macchina antica a treppiede...».
Incontro tra Cesare Zavattini Parlava
con la solita vivacità, ma con voce non troppo alta; lui che
scriveva: «abbiamo (noi luzzaresi) anche il vizio di parlare a
voce troppo alta, da cui può darsi derivi l’illusione di sapere
di più di quanto sappiamo».
Parlava dei suoi anni e dei suoi progetti, della realtà e degli acciacchi, inevitabili data la sua veneranda età, parlava della gente, dei bambini e degli anziani; “gente di condizione sociale modesta” ripetendomi più o meno una frase scritta anni fa sul suo secondo libro su Luzzara in collaborazione col fotografo Berengo Gardin, «rimasta tale anche in un simbolico gesto di attesa». Io ero in crisi, un po’ il caldo ma soprattutto per queste frasi inevitabilmente subite come un pugile ormai alle corde. Di Paul Strand ormai non si parlava più, io ogni tanto cercavo di sapere, gli chiedevo qualche notizia o aneddoto, ma non ne aveva; «è tutto, ci siamo rivisti qualche volta ma non c’è niente di più. Interessantissimi sono i suoi film che io ho visto a Parigi, dovremo riuscire a portare quelli in Italia». Poi, come sempre succede, abbiamo parlato di tante altre cose: del suo anno di militare a Firenze, alla Fortezza da Basso, di quando usciva fuori la sera e correva alle Giubbe Rosse; del suo rapporto con la poesia, con la pittura, con la narrativa, «forme che oggi non apprezzo molto», che ha però in progetto un Diario di un arteriosclerotico sottolineando che lui non lo è (lo si vede bene) e che con questo non vuole fare letteratura. Ho saputo anche che a suo tempo c’era stato un incontro con Herny Cartier Bresson con il quale avevano intenzione di fare un film. Mi sono illuminato ed ho chiesto, brutalmente, notizie: «non puoi pretendere che mi ricordi tutto, cazzo! Te lo dico cosi, come mi viene in mente». Rispondo che glielo avevo chiesto solo perché l’idea mi affascinava. «Certo, caro, anch’io avrei fatto lo stesso». Qualche pausa mentre l’auto corre veloce sull’autostrada, controlla spesso l’ora. Alle sedici in punto deve telefonare. Ha urgenza di sapere le vicende del suo film La Veritàaaa, che la sera stessa devono proiettare a Reggio Emilia alla festa dell’Unità. E quest’urgenza non è solo un fatto fisico, parla d’urgenza anche in senso filosofico, urgenza del rapporto tra pensiero e azione. «Lavorare con la gente subito», dove riaffiora inevitabilmente la più convinta delle sue convinzioni: che siamo tutti uguali! Da qui alla polemica con la cultura dei pochi il passo è breve. Mi viene ancora in mente l’introduzione a Un paese vent’anni dopo: « Secondo me ciascuno di noi è grande ma gli s’impedisce di manifestarlo in concreto. Non s’intenda per grandezza poemi, affreschi, statue, di ben altro abbisogniamo. Ma su di noi si sono accumulati secoli di cenere diventata dura. C’è da compiere una scrostatura che nessuno si prende la briga di compiere e gli stessi interessati finiscono con l’abituarsi a stimare più gli altri di sé, secondo il plagio compiuto a poco a poco appunto dalla cultura dei pochi. Che più che mai oggi combina orribili fatti e tuttavia non cede il campo, ha la vanità e la superbia di una volta guardandosi dall’attingere nuove forze nella massa e persistendo a trivellare nel suo gramo esausto e accidioso terreno però con dei grandi cartelli su cui si legge: stiamo sgobbando per tutti. E da tutti vogliono onore...». Controlla ancora l’orologio, siamo ormai a 69 Km. da Firenze. «Sai - racconta ancora è la scena dell’invasione della Rai che non hanno digerito. Quando uscì il film Il Popolo e Il Giornale di Montanelli si scagliarono contro, poi... pensa quando fu proiettato a Cosenza ci furono dei salti e delle oscurazioni a quella scena, non si vedeva bene, pensai ad un guasto tecnico, ad un caso. Poi a Gorizia la scena non c’era proprio. Allora non è più il destino! Mi dissi. Ora, chissà mai perché, da Milano lo hanno mandato a Roma ed è arrivato a Reggio Emilia solo stamani, devono visionarlo per vedere se manca la scena; sono ansioso di sapere». E’ importante la scena? Gli chiedo. «Sì e no, ma non è per questo. Io non dico che il film è bello o brutto, dico che è un diritto di ciascuno mostrare interamente il suo lavoro. è una questione di principio, sono contro ogni forma di censura». A questo punto ho un lampo di memoria e azzardo una frase che lui apprezza molto: «Vogliono svalutare gli uomini». Semplicemente mi ero ricordato una poesia del suo meraviglioso libro in dialetto luzzarese Stricarm’ in d’na parola (Stringermi in una parola), che in italiano recita: Lei cosa fa di mestiere?
«È farina del tuo sacco,
ricordi?». «Adesso che ci penso, sì mi hai fatto
ricordare. Purtroppo è un mestiere ancora in voga, continuano
a praticarlo in molti». Paolo della Bella
(Fiesole Democratica ottobre 1983) |
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